Spesso le aziende si pongono la domanda se conviene esternalizzare l’incarico dell’RSPP. Bene, secondo noi la risposta va trovata mettendo sul piatto sia considerazioni economiche, sia organizzative, ma soprattutto cercando di ottimizzare l’efficacia del servizio di prevenzione e protezione. La normativa sulla sicurezza e salute sul lavoro (D.lgs. 81/2008) da un lato identifica esattamente i compiti del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (da ora in poi RSPP) e dall’altro, con la sua dinamica e varietà di applicazione, ne condiziona la complessità. Di seguito alcuni consigli per una scelta consapevole.
Partiamo dalla definizione di RSPP (Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione): persona in possesso delle capacità e dei requisiti professionali di cui all’articolo 32 del D.lgs. 81/2008, designata dal Datore di Lavoro, a cui risponde, per coordinare il servizio di prevenzione e protezione dai rischi. E dalla definizione di SPP (Servizio di Prevenzione e Protezione) come insieme delle persone, sistemi e mezzi esterni o interni all’azienda finalizzati all’attività di prevenzione e protezione dai rischi professionali per i lavoratori.
Iniziamo dall’analisi della realtà aziendale e della criticità del Servizio di Prevenzione e Protezione: i principali rischi di salute e sicurezza che probabilità hanno? Che danno possono comportare? Quante persone sono esposte? Tanto per fare degli esempi, un conto è parlare di un’azienda di centinaia di persone che produce componenti chimici o estrae minerali, un altro conto è un’azienda di poche persone che commercializza abbigliamento o che vende servizi di contabilità. Inquadriamo il ragionamento scomponendolo secondo questo schema:
Azienda con più di 200 persone | Azienda con meno di 200 persone | |
Azienda a basso rischio | Caso 1 | Caso 2 |
Azienda a medio rischio | Caso 3 | Caso 4 |
Azienda a alto rischio | Possibile solo con RSPP Interno | Caso 5 |
Precisiamo che, per quanto riguarda la dimensione, il numero 200 è quello previsto dall’art. 31, comma 6, come limite per l’esternalizzazione del SPP nelle aziende di tipo industriale. Approssimiamo la varietà dei rischi e, più in generale, la complessità dei rischi stessi, con la classificazione dei rischi introdotta dall’accordo stato regioni sulla formazione dei lavoratori: basso, medio e alto rischio. Precisiamo infine che esistono dei vincoli previsti dallo stesso articolo 31 che impediscono, in taluni casi, l’esternazionalizzazione del servizio SPP (rimandiamo all’art. 31 del D.lgs 81/2008 l’elenco di questi casi).
Con queste ipotesi analizziamo caso per caso tutte le possibilità:
Caso 1 e 2: nei casi di aziende a basso rischio, la dimensione non fa aumentare la complessità tecnica, ma quella organizzativa. In questi casi l’RSPP ha un ruolo che si deve ben inserire nell’organizzazione in modo tale da gestire sempre con particolare attenzione le relazioni. I temi si spostano dalla sicurezza alla salute e in particolare a quelli del benessere e dei rischi psicosociali. In questi casi è assolutamente consigliabile esternalizzare il servizio perché è importante che il RSPP porti in azienda esperienze che arrivano da altre realtà. Sicuramente i costi di avere il servizio interno sono superiori all’esternalizzazione.
Caso 3 e 4: nei casi di aziende a rischio medio, come ad esempio quelle del settore logistico / trasporto, non ci sono, in generale, particolari varietà di rischi. In questo caso prevalgono gli aspetti di gestione scadenze e adempimenti formali, oltre ovviamente agli impegni nella redazione e sensibilizzazione delle istruzioni di lavoro e procedure varie. In questi casi riteniamo che la decisione vada presa per lo più su considerazioni economiche; è consigliabile l’esternalizzazione nelle aziende più piccole, mentre nelle più strutturate si potrebbe valutare un quadro misto in cui si affianca un esterno a una o più risorse interne (non necessariamente impiegate interamente nel servizio SPP).
Caso 5: in aziende ad alto rischio, ad esempio nel settore delle costruzioni, della manifattura o industriali, l’ago della bilancia è la fiducia e il rapporto tra Datore di Lavoro e RSPP. L’impegno di un RSPP, ed eventualmente anche di altre persone che lavorano per il servizio SPP, è importante e da un punto di vista economico potrebbero non esserci delle differenze sostanziali (considerando il costo aziendale). Qualora le aziende siano micro o piccole potrebbero esserci anche delle convenienze economiche ad esternalizzare il servizio anche se, come dicevamo, la principale variabile è la fiducia tra Datore di Lavoro e RSPP perché sono casi in cui la sicurezza sul lavoro è un argomento “core” dell’impresa.
Per concludere, elenchiamo, dal nostro punto di vista, i pro e contro di un RSPP esterno rispetto ad uno interno:
– Un esterno è spesso tenuto in maggior considerazione nel proporre e gestire innovazioni lavorative, ad esempio nel modo di fare le cose. Con un esterno è più facile, o comunque meglio gestibile, il “gioco di squadra”, fondamentale nel portare avanti modifiche comportamentali da parte dei lavoratori. Viceversa, un interno è più radicato nell’organizzazione e, spesso, conosce bene tutte le dinamiche che devono essere tenute in considerazione nella gestione della sicurezza in azienda.
– Gli occhi di un esterno sono spesso più obiettivi nel rilevare non conformità alla normativa, magari radicate nei comportamenti delle persone e analizzare le situazioni a rischio a tutto vantaggio dell’efficacia delle misure di prevenzione e protezione che poi potranno essere applicate; viceversa un interno conosce i dettagli dell’attività e le sue soluzioni potrebbero essere più efficienti.
– Le esperienze di un RSPP esterno sono più diversificate sia da un punto di vista di organizzazioni che di tipologia di attività, questo comporta una maggiore esperienza di applicazione delle misure di prevenzione e protezione ai diversi rischi; per contro un RSPP interno matura una maggior esperienza sullo specifico settore e quindi su alcuni dettagli utili alla definizione puntuale delle stesse misure.
Gian Giorgio Carta