Nelle società di capitali, ha ricordato la Corte di Cassazione in questa sentenza, il datore di lavoro si identifica con i vertici della società stessa ovvero con il presidente del Consiglio di amministrazione o con l’amministratore delegato o con un componente del Consiglio stesso al quale siano state attribuite le relative funzioni. Il principio di effettività di cui all’art. 299 del D. Lgs. n. 81/2008 al quale si fa ricorso in genere per individuare delle posizioni di garanzia assunte di fatto, ha ancora precisato la suprema Corte, è stato dettato dal legislatore in chiave ampliativa del novero dei soggetti gravati dalla posizione di garanzia, come risulta evidente dalla presenza nello stesso articolo dell’avverbio “altresì” in funzione qualificativa del verbo “gravare”. E’ in sostanza perciò una ipotesi alternativa di tipicità della fattispecie incriminatrice che comunque non vale certamente ad escludere la responsabilità del soggetto titolare dei relativi obblighi prevenzionistici.
Nel caso in esame il Presidente del Consiglio di amministrazione di una società di capitali è stato condannato per non aver provveduto, nella sua qualità di datore di lavoro, a valutare il rischio che aveva portato all’infortunio di un lavoratore dipendente e per non avere fornito allo stesso i necessari dispositivi di protezione individuale. Lo stesso ha contestato la sentenza della Corte di Appello per averlo qualificato erroneamente come datore nonostante l’art. 2 del citato D. Lgs. n. 81/2008, con il quale è stata definita tale figura, avesse dato risalto alla concreta allocazione della responsabilità all’interno dell’azienda, desunta dall’esercizio dei poteri decisionali e di spesa, piuttosto che dalla titolarità del rapporto di lavoro con i dipendenti. La responsabilità dell’accaduto, quindi, era da addebitare, secondo il ricorrente, ad un altro soggetto della stessa azienda il quale era di fatto munito di tali poteri di direzione generale e gestione operativa individuato nel responsabile del servizio di prevenzione e protezione oltre che redattore e firmatario del documento di valutazione dei rischi dell’unità produttiva.
La Corte di Cassazione ha dichiarato comunque inammissibile il ricorso ribadendo appunto che nelle società di capitale il datore di lavoro si identifica con i soggetti effettivamente titolari dei poteri decisionali e di spesa all’interno dell’azienda, e quindi con i vertici della stessa e cioè nel presidente del consiglio di amministrazione, o nell’amministratore delegato o nel componente del Consiglio di amministrazione con la precisazione che, nell’eventualità di una ripartizione di funzioni nell’ambito del Consiglio di amministrazione ex art. 2381 cod. civ., gli altri componenti rispondono anch’essi del fatto illecito allorché abbiano dolosamente omesso di vigilare o, una volta venuti a conoscenza di atti illeciti o dell’inidoneità del delegato, non siano intervenuti.
Il fatto, l’iter giudiziario, il ricorso per cassazione e le motivazioni.
La Corte di Appello ha rideterminata la pena e, per il resto, ha confermata la declaratoria di responsabilità del Presidente del Consiglio di amministrazione di una società di capitali in ordine al reato di lesioni colpose di un lavoratore dipendente e ciò per non aver provveduto a valutare il rischio connesso alla movimentazione di palloni in vetro utilizzati su un macchinario e per non avere inoltre fornito all’infortunato i necessari dispositivi di protezione individuale (guanti antiscivolo/antitaglio). In particolare, il lavoratore, mentre teneva in mano il pallone in vetro per provvedere all’operazione di carico dello stesso, ha perso la presa per cui il pallone, urtando contro il bordo del macchinario, si è rotto provocandogli delle lesioni gravi al primo dito della mano destra e una ferita lacerocontusa al polso sinistro.
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione tramite il suo difensore lamentando violazione di legge e vizio di motivazione, per averlo la Corte territoriale qualificato erroneamente come datore di lavoro, nonostante l’art. 2 del D. Lgs. n. 81/2008 avesse dato risalto alla concreta allocazione della responsabilità all’interno dell’azienda, desunta dall’esercizio dei poteri decisionali e di spesa, piuttosto che dalla titolarità del rapporto di lavoro con i dipendenti e ciò anche in considerazione del principio di effettività di cui all’art. 299 dello stesso D. Lgs. n. 81/2008. Nelle società di capitali, ha sostenuto ancora il ricorrente, la responsabilità datoriale non può sempre ricadere indistintamente su tutti i consiglieri di amministrazione, dovendosi invece verificare in concreto quale sia il soggetto titolare dei rispettivi poteri e delle connesse responsabilità; nel caso particolare non era lui ad essere munito di poteri di direzione generale e di gestione operativa ma un altro soggetto dell’azienda stessa individuato nel redattore e firmatario del documento di valutazione dei rischi nonché responsabile del servizio di prevenzione e protezione dell’unità produttiva ove era accaduto l’infortunio.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.
La Corte di Cassazione ha ritenuto infondato il ricorso e pertanto meritevole di rigetto. Le censure dedotte nel ricorso sono state ritenute dalla Corte suprema destituite di fondamento in ordine all’asserita mancanza di un ruolo datoriale del prevenuto, che invece era stato pacificamente appurato da entrambe le sentenze di merito sulla base di un ragionamento logico, corretto in diritto e supportato dalle emergenze processuali.
La decisione impugnata infatti, secondo la suprema Corte, aveva giustamente chiarito, in linea con la normativa vigente e con la costante giurisprudenza di legittimità, come l’art. 299 del D. Lgs. n. 81/2008 vale ad elevare a garante colui che di fatto assume e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto, mentre non può essere invocato in funzione restrittiva degli obblighi che la normativa prevenzionistica assegna ai soggetti regolarmente investiti di tali poteri. Il principio di effettività di cui al citato art. 299 infatti, ha così proseguito la Sez. IV, secondo il quale “le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all’art. 2, comma 1, lett. b), d) ed e), gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti”, è stato dettato dal legislatore, come giustamente osservato nella sentenza impugnata, in chiave ampliativa del novero dei soggetti gravati dalla posizione di garanzia, come reso evidente dalla presenza dell’avverbio “altresì” in funzione qualificativa del verbo “gravare”. Si tratta quindi, ha così precisato la Sez. IV, di una ipotesi alternativa di tipicità della fattispecie incriminatrice che certamente non vale ad escludere da responsabilità il soggetto titolare dei relativi obblighi prevenzionistici.
La posizione del ricorrente, quindi, rivestendo lo stesso la qualifica di Presidente del Consiglio di amministrazione della società (titolare del rapporto di lavoro con il soggetto infortunato) era stata, secondo la Corte di Cassazione, correttamente inquadrata in quella del datore di lavoro, principale figura destinataria degli obblighi prevenzionistici ai sensi di quanto previsto dall’art. 2, comma 1, lett. b) del D. Lgs. n. 81/2008, quale soggetto che, nell’ambito dell’organizzazione aziendale, era titolare della responsabilità decisionale, organizzativa e di spesa. Le sentenze di merito avevano accertato, inoltre, che non vi era alcuna specifica delega di funzioni nei confronti di altri soggetti, sicché l’imputato era titolare di tutti i poteri di controllo, gestionali e di spesa tipici del datore di lavoro.
Le considerazioni poi del ricorrente circa la presenza di un’altra figura apicale che si sarebbe occupata di prevenzione non sono state ritenute dalla Sezione IV valide ad esonerarlo da responsabilità datoriale rimanendo lo stesso investito dei poteri tipici del garante ex art. 2 del D. Lgs. n. 81/2008. Nelle società di capitale, infatti, il datore di lavoro si identifica con i soggetti effettivamente titolari dei poteri decisionali e di spesa all’interno dell’azienda, e quindi con i vertici dell’azienda stessa, ovvero nel Presidente del Consiglio di amministrazione, o amministratore delegato o componente del consiglio di amministrazione cui siano state attribuite le relative funzioni; con la precisazione però che nell’eventualità di una ripartizione di funzioni nell’ambito del Consiglio di amministrazione ex art. 2381 cod. civ. gli altri componenti rispondono anch’essi del fatto illecito allorché abbiano dolosamente omesso di vigilare o, una volta venuti a conoscenza di atti illeciti o dell’inidoneità del delegato, non siano intervenuti.
Al rigetto del ricorso è quindi conseguita la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Tratto da PuntoSicuro.it
Gerardo Porreca